Il capo IV del titolo XI del codice penale tutela le persone che, appartenenti al nucleo famigliare, subiscono l’offesa da parte di uno dei membri della famiglia.
Più nel dettaglio, l’art. 572 c.p. punisce chi maltratta abitualmente una persona della famiglia, o un convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza, custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte.
Le condotte possono essere sia commissive sia omissive e sono contraddistinte dalla coscienza e volontà di di infliggere sofferenza alla vittima.
Se il fatto è commesso in presenza o in danno di persona minore la pena è aumentata sino alla metà.
In materia la Suprema Corte ha affermato che:
"E' configurabile il reato di maltrattamenti in situazione di condivisa genitorialità, anche in assenza di convivenza, a condizione che la filiazione non sia stata un evento meramente occasionale ma si sia quantomeno instaurata una relazione sentimentale, ancorché non più attuale, tale da ingenerare l'aspettativa di un vincolo di solidarietà personale, autonomo rispetto ai doveri connessi alla filiazione".
Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 37628 del 11 settembre 2019.
E ancora: "nel caso di "convivenza more uxorio", il delitto di maltrattamenti in famiglia è configurabile soltanto per le condotte tenute fino a quando la convivenza non sia cessata, mentre le azioni violente o persecutorie compiute in epoca successiva possono integrare il delitto di atti persecutori".
Cassazione Penale, Sez. II, sentenza n. 10222 del 8 marzo 2019.